la Fonderia

si occupa dei processi produttivi attraverso i quali dal minerale originario nascono non solo oggetti
ma anche leghe e materiali nuovi.

Si appronta il modello, quindi si preparano le anime e le forme.
Dopo
la fusione, la colata nella forma eppoi l’estrazione del getto per la pulizia e finitura.
Rispetto ad altre tecniche di lavorazione, solo la fonderia permette di ottenere pezzi di forma complessa
molto difficilmente ottenibili con altri metodi.

della Estrazione del Getto

martedì 22 febbraio 2011

Jean-Paul Denizon dirige LE TRE SORELLE

in occasione dell’anno della Cultura Russa in Italia
LE TRE SORELLE
di Anton Čechov
Regia
Jean-Paul Denizon
Aiuto regia Dario Aggioli
Scene e costumi Maria Toesca
Adattamento Jean-Paul Denizon e Dario Aggioli
Con
Elisa Carucci, Valeria De Angelis, Roberta Mele, Francesca Musci, Giada Parlanti, Giorgia Porchetti, Silvia Quondamstefano, Sarah Sammartino, Elena Savio, Annika Strøhm, Ursula Volkmann, Dario Aggioli, Tristan Bouvier, Bernardo Casertano, Valentino Ligorio, Marco Sabatino, Saba Salvemini, Omar Scala


FONDERIA 900
Via Assisi 33, Roma
Dal 23 al 27 febbraio 2011
Alle ore 19,45

costo biglietto 10 euro + 2 euro di tessera associativa
(è possibile acquistare il biglietto a costo 8 euro + 2 euro di tessera dagli attori nei giorni precedenti allo spettacolo)

“Un giorno decidiamo di fare teatro perché pensiamo che dentro di noi abbiamo qualcosa da dare, e che questo qualcosa potrà servire a chi lo riceverà: il pubblico.
Questo qualcosa è il dono che è alla base di ogni organizzazione sociale, che mantiene i legami, che qualche volta impedisce alla vita di diventare insopportabile.
Facciamo teatro per dare. Ma cosa dare? Se stessi? Sì... a condizione di essere se stessi un dono. Perché bisogna dare il meglio... e soltanto il meglio. Non ci si può accontentare di ciò che siamo. Bisogna separare il buono dal cattivo, l’utile dall’inutile, l’essenziale dal superfluo, la verità dall’illusione. E’ necessario imparare a dare,cioè tirar fuori questa piccola cosa che è in noi, farla risalire alla superficie, aiutarla a crescere, a svilupparsi, a strutturarsi, ad affinarsi, perché lo stato grezzo nasconde sempre le mille facce della ricchezza.
Il dono esiste, ma non sempre la facoltà di dare. Dare non è facile: si deve andare oltre il proprio spessore, le proprie barriere. Bisogna aprire il passaggio. E potremo veramente dare qualcosa il giorno in cui ciò che diamo corrisponderà effettivamente a quello che avevamo immaginato. Un attore è veramente libero quando può fare tutto ciò che ha immaginato”. 


L’INCONTRO E LA NASCITA DEL PROGETTO

Nell’ottobre del 2003 Dario Aggioli, autore e regista della Compagnia Teatro
Forsennato, segue a Parigi uno stage organizzato dalla Compagnie aiA e condotto da
Jean-Paul Denizon, che insegna con un interessante e particolare approccio pedagogico
messo a punto negli anni, e in parte frutto dell'esperienza di lavoro con Peter Brook (per il
quale è stato attore, aiuto regista e tra i direttori del training della compagnia). Da questo
primo incontro tra l’artista francese e Aggioli inizia una splendida e proficua collaborazione
che porta Teatro Forsennato, nell’anno successivo, a ospitare in Italia, dopo cinque anni di
assenza, lo stage condotto da Denizon. La collaborazione, che continua con cadenza
annuale nell’ottica di una simile estetica teatrale, sviluppa una progettualità con un
comune obiettivo: nel 2008 nasce in Italia l’atelier annuale condotto da Denizon, ospitato
presso Fonderia 900 Arti e Mestieri dello Spettacolo diretta da Riccardo Diana, dove alla
pedagogia si affianca l’idea di creare un gruppo di giovani attori diretti dal regista francese.
Si sviluppa il progetto de Le Tre Sorelle, prima espressione di un percorso formativo e
produttivo nato dalla collaborazione di forze diverse.

LA FORMAZIONE DEGLI ATTORI

Lo spettacolo Le Tre Sorelle non può prescindere dal percorso formativo portato
avanti da Jean-Paul Denizon con un gruppo di giovani attori che ormai da circa due anni lo
segue e con cui si è creato un lavoro continuativo e ben delineato. L’Atelier, intitolato “Dal
Testo alla Vita”, forma un attore capace di essere vivo in scena. Denizon scrive: “Il sogno
di ogni attore è di poter passare direttamente dalla vita alla scena, di essere sulla scena
altrettanto vivo, spontaneo, ricco che nella vita. Senza paura, con il cuore, il corpo e la
mente “liberi” come nella vita. Trasportare tutta la propria umanità sulla scena senza
incontrare alcun ostacolo, con facilità. Ma la realtà è diversa: non appena l’attore varca
questa piccola frontiera invisibile che separa la vita dalla scena, la sua naturalezza vacilla,
la sua scioltezza nel parlare, le sue emozioni spariscono, la sua immaginazione svanisce,
la vita viene a mancare. E’ qui che il lavoro comincia. Per aiutare l’attore nel suo lavoro,
esistono molti metodi e tecniche: le psicotecniche, la ricerca delle emozioni, il
rilassamento, le tecniche corporali o quelle basate sull’impostazione della voce, sui ritmi,
la musicalità, i gesti, i movimenti, ecc. Spesso il teatro è considerato come
un’accumulazione di tecniche, e sussiste ancora l’idea che un attore è più “attore” se
possiede molte tecniche. In un certo senso questa è la prova della nostra incapacità a
portare direttamente sulla scena la nostra umanità. Ad esse, alle tecniche, deleghiamo il
compito di ricostruire questa umanità. Ma le tecniche sole non hanno mai fatto un uomo”.

Gli attori coinvolti nella produzione, dunque, sono stati scelti durante gli stage
formativi con Denizon, attraverso un criterio di affinità con il lavoro estetico che il regista
francese e la Compagnia Teatro Forsennato perseguono.
La messa in scena del testo de Le Tre Sorelle è il risultato dell’equilibrio tra il nostro
universo mentale, il nostro mondo affettivo e il nostro corpo. È questo equilibrio che rende
evidenti le parole dell’attore, i suoi gesti e le sue emozioni. Nella vita è facile perché
questo equilibrio “si fa” da solo, la nostra coscienza non ha bisogno di intervenire: ad ogni
posizione del nostro corpo corrisponde uno “stato d’animo”, e per ogni nostro “stato
d’animo” il nostro corpo si piega sempre adeguandosi perfettamente con il pensiero e il
cuore, in maniera viva, diretta, sia che siamo a nostro agio sia che non lo siamo. Questa è
la vita che l’attore deve ritrovare in scena, per andare oltre l’intellettualismo, l’intenzione,
l’atteggiamento, l’emozione grossolana, lo psicologismo o la teoria. Ritrovare la vita
sapendo che l’attore dovrà essere più presente, più vivo, più attento, più aperto e
disponibile che nella vita, perché il teatro non perde tempo e si contenta solo
dell’essenziale. Per acquisire tali qualità gli attori si esercitano, sperimentano e non fanno
soltanto discorsi. La pratica è dunque concreta: molti esercizi (quasi mai gli stessi) che
mettono sempre in relazione il corpo, il pensiero e il cuore, in modo da capire le loro
interazioni, i rapporti, i limiti e la ricchezza, la varietà d’espressione che derivano dalla loro
fusione, dal loro equilibrio. Questi esercizi non sono mai “psicologici”. Si possono piuttosto
definire giochi, malgrado la loro complessità e la loro difficoltà d’esecuzione. Perché è
importante lavorare e crescere nella gioia.
Così il lavoro prevede un primo momento di esercizi sulla relazione tra corpo, universo
mentale e sistema affettivo, atti a sviluppare una maggiore “coscienza” e un livello più alto
di attenzione. Si prosegue focalizzandosi sulla qualità della lettura del testo, cioè sulla
comprensione del significato più profondo delle parole e di quello che celano.
Successivamente le competenze acquisite e le esperienze vissute, sia a livello
dell’attenzione su corpo, universo mentale e sistema affettivo, sia a livello dell’uso corretto
del testo, confluiscono in una modalità di messa in scena che è quella utilizzata per Le Tre
Sorelle, in quanto rende l’attore libero da tecniche, attento e aperto verso il pubblico, gli
attori che lavorano con lui e il testo. Tutto è finalizzato a rendere vivo il testo per il
pubblico.

LO SPETTACOLO

La scelta di un classico della drammaturgia mondiale rispecchia due intenti
fondamentali di Jean-Paul Denizon: innanzitutto, rispettare un lavoro già fatto in passato,
in quanto alcune scene della piece sono già state utilizzate durante gli stage come base di
lavoro per gli allievi attori, che così hanno potuto cimentarsi con un autore importante. In
secondo luogo, la scelta rispecchia la necessità e la volontà di avvicinarsi a Čechov in
modo innovativo. Si è voluto mettere in evidenza la coesistenza e l'importanza dell'aspetto
comico insieme a quello tragico, aspetto che più frequentemente ha informato le
realizzazioni sceniche.

La messa in scena prevede la presentazione metateatrale del lavoro: pur
consapevoli che questo espediente non è innovativo, si è comunque scelto perché, in
primo luogo permette un adattamento del testo anche dal punto di vista della durata, e poi
sposta l’attenzione su una messa in scena basata quasi totalmente sul lavoro attoriale.
Gli attori coinvolti hanno un’età compresa tra i 20 e i 35 anni, per ribadire la volontà
a far lavorare i giovani in un’esperienza che viene sentita importante sia artisticamente che
professionalmente. E questa idea viene confermata dall’interesse di addetti ai lavori che
sono stati coinvolti nel progetto a vari livelli.
In particolare il supporto della “Fonderia 900 – Arti e Mestieri dello Spettacolo”, ente
romano che mette a disposizione gli spazi per gli stage, le prove e lo spettacolo, la
Compagnia di Arte e Mestieri che rende possibile l’allestimento e il Consorzio Ubusettete
di cui Teatro Forsennato fa parte, che ha fortemente sostenuto il progetto.
È inoltre fondamentale sottolineare la particolarità del gruppo che si sta costituendo,
che pur nella messa in scena in italiano, è formato da attori provenienti sia da diverse parti
d’Italia che dall’Europa (Germania, Norvegia, Francia).